sono ad Auckland, in Nuova Zelanda!
Da quando sono qui, il mio italiano scricchiola un po'. Sembra impossibile, ma quando sono in NZ, parlo, penso e sogno in inglese. A casa parlo solo inglese con mio padre+famiglia, fuori sono circondata da cartelli stradali in maōri, e non chiamo nemmeno a casa in Italia (scusa, Nuna). La cosa positiva e' che ho perso quasi completamente quell'orrido accento americano e sto prendendo quello più dolce neozelandese.
Tornare in Nuova Zelanda e' un po' come tornare alle origini. Alle origini della mia vita, alle origini della terra. La natura qui e' talmente selvaggia che spesso ho la sensazione che nulla sia realmente cambiato da quando questa terra e' stata abitata dall'uomo.
E' una realta' lontana da quella a cui sono abituata (se si può parlare di "abitudine" nella mia vita). Qui la gente non ha quella vena preoccupata sulla fronte, quell'espressione cupa che spesso si incontra nello sguardo degli europei. Sara' che qui la vita e' diversa sin dall'inizio, dalle scuole elementari. Qui non esistono i segni rossi sul foglio, ma annotazioni del tipo "Sono sicura che andrai meglio la prossima volta" o "Potresti migliorare scrivendo x invece di y". Quindi quando qualcosa va male, non e' nella mentalità della mia gente neozelandese pensare "aaaahhh sono fallito per la vita!", bensì "Ok, una cosa e' andata male. Non importa, mi impegno di più per la prossima."
Ieri volevo andare a correre, ma non sono riuscita: appena ho messo piede fuori casa, ho subito fatto amicizia con ogni persona che incontravo. Qui la gente saluta per la strada. Ti guarda negli occhi e si ferma a parlare. Molti, come me, camminano scalzi. Le strade sono pulite e c'e' il mare dappertutto, essendo la NZ un'isola. Ieri mattina sono tornata a casa con parecchi nuovi numeri nella rubrica. La gente qui e' genuina e amichevole. Ho trascorso quella che avrebbe dovuto essere la mia corsa mattutina a chiacchierare con un anziano signore e con una giovane mamma di origini tedesche. Non avrò smaltito tutto il burro neozelandese che mangio, ma ne e' valsa la pena.
La cosa che mi rimane sempre impressa ogni volta che vengo qui e' il risveglio, di mattina. Se per ipotesi mi dovessi svegliare in questo posto, senza sapere di essere qui, lo capirei ugualmente. Da cosa? Da tante cose. Il mio cuore batte forte, come non mi capita in nessun posto. L'aria ha quel profumo che sí, potrei confondere con quello dell'Australia, ma e' in parte diverso. E vorrei potervelo descrivere, ma ha un qualcosa di inspiegabile. Io e la NZ abbiamo un legame molto intenso e particolare. Un po' come quando ami qualcuno e non sai (ancora) il perché. E' un legame indefinito, allegramente burrascoso, più forte di tutti i continenti e dei mari che quasi sempre ci separano. Ieri notte mi sono svegliata verso le 3 e ho guardato fuori dalla finestra. Ho preso paura da quanto luminose erano le stelle.
Comunque, quando mi sveglio e apro gli occhi, in NZ, sento subito che la mia solita inquietudine se n'e' andata. Mia nonna, in Italia, una volta mi ha detto che mi manca qualcosa come persona, ma non sa spiegarmi cosa. Allora, prontamente le rispondo: "ma a chi e' che non manca qualcosa, dentro?" e lei replica: "a me". Lei e' una persona interiormente molto completa. Io non penso di esserlo, ma ho imparato a coglierne il lato positivo. Se fossi già pienamente soddisfatta della mia vita, non sarei spinta a cercare nuovi posti e nuove persone. Non avrei fatto domanda per andare a studiare in Israele, se amassi follemente la mia università in Italia. Non sarei partita per New York, quattro anni fa, se fossi stata davvero soddisfatta della mia vita in Italia. Una pronta obiezione potrebbe essere: "sí, ma ti ritroverai a cercare sempre qualcosa che non trovi, qualcosa che esiste solo nella tua mente. Ti potrebbero sfuggire tante cose nel frattempo." Puo' darsi. Ma ho solo 21 anni. Di tempo per stabilizzarmi ne ho, spero. Intanto continuo ad aggiungere nuovi tasselli alla persona che sto diventando. A questa eta' siamo un po' come delle spugne: possiamo assorbire molto di ciò che impariamo strada facendo. E tutto torna utile, quando meno ce lo si aspetta. Proprio stamattina parlavo con mia nonna Ann di quelli che lei chiama threads of life, i fili che tessono la vita.
Vi racconto un paio di piccole coincidenze.
A 5 anni vivevo ad Adelaide, South Australia e frequentavo la Magill School. A 17 anni mi sono ritrovata a fare un colloquio per entrare alla scuola dell'ONU, Manhattan. Purtroppo sono arrivata a NY a settembre e tutte le altre scuole pubbliche erano già piene e non c'era più posto per me. Le liste d'attesa erano infinite. Ero disperata, pensavo che sarei dovuta ritornare in Italia. L'UNIS (United Nations International School, Manhattan Campus) era una scuola principalmente per i figli dei dipendenti dell'ONU e entrarci era molto tosto. Non avevo molte speranze, non avendo io genitori collegati all'ONU. Inoltre, provenivo da un semplice liceo, e non da una scuola che seguiva il programma del Baccellierato Internazionale. Dovevo superare un colloquio, in cui gli esaminatori avrebbero valutato le pagelle precedenti, il volontariato fatto fino a quel momento e il candidato come persona. Era un po' un'eccezione, dato che l'anno scolastico era già iniziato e in più era il "senior year", cioè l'ultimo anno delle superiori. To cut the long story short, hanno valutato tutti i dati "oggettivi", ma il preside mi ha ammessa sul momento: anche lui, da piccolo, aveva frequentato la Magill School di Adelaide.
A 8 anni vivevo a Hampstead Garden Suburb, Londra, nel quartiere ebraico della città. Tutti i miei amici e i miei insegnanti erano ebrei. 12 anni dopo ho fatto domanda per partecipare ad un accordo bilaterale con l'Università Ebraica di Gerusalemme e nella lettera di motivazione ho parlato dei miei due anni londinesi, tra Shabbat e Yom Kippur.

A 15 anni studiavo latino al liceo a Padova. A 16 anni questo ha fatto sí che, tra tutte le difficoltà psicologiche che ho avuto quella volta, le rigide lezioni di latino al Loreto Grammar School di Manchester fossero la parte più leggera delle mie giornate.
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| Stemma del Loreto College |
Al primo anno di università, nel manuale di diritto costituzionale comparato, c'era un paragrafo che parlava del Trattato di Waitangi. L'avrei tranquillamente saltato (sapevo che non sarebbe mai stato oggetto di una domanda d'esame) se parte della mia famiglia non fosse maōri! Al terzo anno di universita', facendo il colloquio per Gerusalemme e vedendo dal curriculum che sono meta' neozelandese, l'esaminatore mi ha chiesto se sapessi qualcosa del diritto maōri. E onestamente, di diritto maōri non sapevo un bel niente. E bam! Ho tirato fuori il Trattato di Waitangi (e il punto e' che non lo conoscevo tramite mio padre…ma tramite un manuale italiano!).
Vivere nel quartiere ebraico di Londra mi ha insegnato molto sulla cultura ebraica. A 17 anni a New York ho fatto amicizia con un ragazzo israeliano proprio parlando della religione ebraica. Ora che mi trasferisco a Gerusalemme, ho un punto di riferimento.
Questi sono solo esempi, ma se ci penso me ne vengono in mente tanti altri. E' proprio questo che mi spinge a fare quella domanda per un erasmus/per uno stage/per un lavoro/per un'altra avventura. Personalmente, trovo affascinante pensare a cosa porterà un domani la domanda per l'erasmus che compilo oggi. Magari a nulla quest'anno, e nemmeno l'anno prossimo. Anzi, potrebbe rallentare l'università per il momento. Ma tra 10 anni, chissà, potrei ritrovarmi a lavorare a fianco ad un collega francese conosciuto a 21 anni in erasmus!
Chiaro, se uno non ha la possibilità di viaggiare, e' un'altra storia. Spesso, pero', ho avuto a che fare con persone che non volevano, per semplice paura di buttarsi in una esperienza del tutto sconosciuta.
Non e' facile, lo so bene. Non e' facile economicamente, psicologicamente e sentimentalmente. Credo, pero', che l'importante non sia tanto avere le opportunità (spesso chi le ha non le sfrutta, dandole per scontate), bensì non precludersi a priori nuove occasioni e cogliere al volo quelle che vengono, anche a costo di ritrovarsi qualche volta a piangere in una metropolitana che porta alla 61esima strada di Manhattan, o di trascorrere qualche intervallo da soli perché non si e' ancora fatta amicizia con la nuova classe. E queste non sono che le difficoltà più leggere! Ma di questo magari vi racconterò più avanti...
Se oggi dovessi dare un consiglio alla me stessa di qualche anno fa, mi direi:
1. Cogli ogni occasione, quando puoi: tutto si intreccia, a distanza di tempo.
2. Armati della immigrant mentality, quell'acutezza di pensiero e riflessione che emerge quando si è continuamente sottoposti a nuove sfide all'estero. E' quello sforzo in più che l'immigrato fa per dimostrare che e' in grado di adattarsi alle nuove situazioni.
(In realta', credo che esistano delle teorie diverse su cosa significhi "immigrant mentality", ma io vi ho dato la mia interpretazione).
Quindi, eccomi nella verde terra dei maōri, a chiudere gli occhi mentre tocco una conchiglia azzurra. Sono circondata da felci verdi, come il mio koru di Pounamu. Vicino al mare stanno fiorendo i primi fiori di Pohutukawa. Sara' una bella estate, a febbraio.
Ka kite anō,
Saraita
| Koru di pounamu |








































