As if nothing ever happened
When I cross that bridge
It'll be as if this don't exist...
New York mi ha insegnato ben altro, oltre alle lezioni scolastiche.
Ecco tre cose che ho imparato, grazie alla Big City.
1. La pigrizia fa male
Capitava spesso che a New York non avessi voglia di far nulla, perché le opportunità erano talmente tante, che dopo un po' uno si abituava e le dava per scontate.
"Non vado a vedere quel musical di Broadway, perché ce ne sono talmente tanti e posso andarci quando voglio!".
Peccato che pensandola così, uno non avrà mai abbastanza voglia di uscire dalla routine e fare qualcosa di diverso.
Anzi, sapete cosa? Il male di New York - per me - e' stato che la routine consistesse in una serie di eventi e occasioni sempre nuove, ogni giorno. Aretha Franklin cantava a Coney Island? Vabbe', il giorno dopo ci sarebbe stato qualcun altro. Forse sarei andata il giorno dopo.
Quando questa diviene la routine, non c'e' più nulla di emozionante. Ci si culla nell'idea di "poter scegliere, se si vuole". Paradossalmente, uno inizia a cercare la routine noiosa vera e propria, quella che altrove si fa di tutto per evitare.
| Come lui/lei ad esempio! |
2. Don't be too hard on yourself.
Ecco, non voglio che questo sia un cliché. Spesso ci imponiamo di essere migliori di come siamo - e questo non e' un male: aiuta a migliorarsi - ma bisogna farlo con equilibrio. Vale a dire, e' bene prefissarsi degli obiettivi e mirare in alto, ma non serve essere troppo duri con se stessi, quando le cose vanno diversamente da come avremmo voluto.
Non parlo di quando il diverso corso degli eventi non e' dipeso da noi. In tal caso il problema neanche si pone.
Io parlo di non essere troppo duri con se stessi proprio quando si sbaglia e lo sbaglio e' dipeso da noi. E va bene, può capitare di sbagliare. Anche di agire coscientemente, sapendo di non fare la cosa migliore. L'importante e' non pensare che tutto sia perso, della serie: ho sbagliato una volta, adesso e' tutto perso.
Stando a New York ho imparato ad accettare che siamo umani. Siamo vulnerabili, per quanto cerchiamo di dare un'idea diversa. E non possiamo controllare tutto.
Non e' così semplice, anzi, e' frustrante. Allo stesso tempo c'erano talmente tanti aspetti della mia vita che mi sfuggivano dalle mani. C'e' una grossa differenza tra la vita che si mostra agli altri (anche forse per auto-convincersi) e la vita che si vive interiormente. Non e' detto che solo perché una persona viva a New York, allora la vita sia tutto divertimento e American Dream. E forse, partendo da questa aspettativa ideale e illusoria, l'impatto con la realta' e' stato molto forte.
Bisogna accettare gli alti e bassi, cercando un equilibrio. E gli alti e bassi ce li hanno tutti, per quanto non sembri. Lo fanno gli aerei, con le turbolenze. Ce la possiamo fare anche noi :)
3. Work hard to be happy
“Happiness is the consequence of personal effort. You fight for it, strive for it, insist upon it, and sometimes even travel around the world looking for it. You have to participate relentlessly in the manifestations of your own blessings. And once you have achieved a state of happiness, you must never become lax about maintaining it. You must make a mighty effort to keep swimming upward into that happiness forever, to stay afloat on top of it.”
― Elizabeth Gilbert, Eat, Pray, LovePlease, please, please, stick this quotation onto your mind.
Ho letto questo libro a New York e questa e' una delle frasi che sono diventate il mio mantra. Non credo nella felicita' casuale, o meglio, non del tutto. La felicita' richiede duro lavoro e tanto, tanto impegno.
In positivo: FAI qualcosa. Esci, cerca quello che ti piace, coltiva i rapporti, ama gli animali, parla con gli anziani, fai la carità ad un mendicante. Sono solo esempi, ma il concetto e': DATTI DA FARE.
In negativo: SMETTILA di auto-sabotarti. E qui non aggiungo altro, perché penso che ognuno conosca i propri modi di auto-sabotarsi.
Non dico che io ci sia riuscita ad essere proprio felice. Ci sono momenti e momenti. Ma l'impegno verso la propria felicita' fa la differenza, ve lo prometto.
A New York - in tutta onesta'- ho fatto ben poco. Spesso mi sono "appoggiata" a tutto ciò che mi circondava: la città, le persone, le occasioni…aspettando che mi venissero a bussare alla porta, principalmente. E capitava, anche, ma non poteva certo durare per sempre.
Le cose che ci circondano sono troppo fragili e mutevoli per costituire una solida base per la nostra felicita'. Occorre quel quid pluris (HAAAAAAA!!!) che solo noi possiamo scegliere di apportare.
Alla prossima,
Saraita
Ah, per chi fosse curioso di vedere cosa mi sono persa quella volta a Coney Island, ecco qui la strepitosa Aretha Franklin, 2011.







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